L’appello – Alessandro D’Avenia
«Forse Il dottor Zivago è un romanzo quantistico.»
«Non lo so. Di sicuro in ogni pagina un nome diverso indica lo stesso personaggio…»
«Proprio come accade con i quanti… La luce e la materia sono come due facce della stessa moneta, e ora si manifesta l’una, ora l’altra…»
«Se lo dice lei… Vedo che ha la fede!»
«E come ha fatto a capire che credo in Dio?»
«No, no, intendevo l’anello…»
L’ennesima metastasi de L’attimo fuggente
Va bene. Allora, c’è un professore cieco e anticonformista che entra in una scuola… È l’inizio di una barzelletta? No, è la trama de L’appello, di Alessandro D’Avenia. Oh, scusatemi, in effetti è l’inizio di una barzelletta.
Quando ho cominciato a leggere il romanzo, già sapevo di trovarmi davanti a un cliché, l’ennesima metastasi de L’attimo fuggente. Ma poi il reale contenuto del libro mi ha sorpresa. Diciamo pure spiazzata. Cioè, se L’ultima riga delle favole è un libro così brutto che è bello, L’appello è talmente brutto che è brutto. Bruttissimo.
Vi do più notizie sulla trama: Omero Romeo è un ex professore di scienze, divenuto cieco in seguito a una malattia. Nonostante la cecità, decide di riprendere la professione di insegnante e, siccome la sfortuna ci vede benissimo, gli viene affidata la classe più problematica della scuola. Già, la classe sembra essere un vero disastro, il preside infatti ci informa che:
L’anno scorso una giovane supplente che li ha avuti per un mese è venuta in lacrime, dicendo che aveva sbagliato mestiere.
Ho detto “sembra”. Da quel che dice il preside, ci viene in mente un gruppo di studenti violenti, aggressivi, o almeno irrispettosi, dediti alla pianificazione di scherzi per umiliare l’insegnante di turno, giusto? Ecco, ne L’appello non c’è niente di tutto questo: proseguendo la lettura, si scopre che la classe è costituita soltanto da una decina di ragazzi depressi, lagnosi e scansafatiche. Insomma, più che altro questi studenti sono degli sfigati passivi: non è molto chiaro perché un supplente dovrebbe essere così spaventato da loro… Ma forse non c’è nulla di sbagliato ed è proprio questa l’equivalente, nel magico mondo di D’Avenia, di una classe del Bronx.
Estasi contemplativa
Ad ogni modo, Omero intravede la possibilità di accattivarsi i terribili scalmanati e non si lascia intimorire dal preside.
Sappiamo cosa deve succedere: in questo genere di storie, infatti, è normale che all’inizio gli alunni siano ostili nei confronti dell’autorità, così il professore può mettere in atto punto per punto il suo metodo per “domare la bestia” e diventare un eroe agli occhi del lettore. Il fascino di queste trame, del resto, sta tutto nell’esporre una condotta di vita che sì funziona nel romanzo, ma che potrebbe funzionare anche nella realtà.
Bene, D’Avenia non ha tempo da perdere e trascina il lettore in una situazione surreale in cui i teppistelli sono presi da un’estasi contemplativa non appena vedono Omero. E non è finita qui: già dall’incontro iniziale, quando Omero fa le prime domande, gli sfigati aprono il loro cuore, rivelando al supplente traumi e sofferenze.
No, Romeo non è uno psicologo, è laureato in chimica. Se avessi motivo di crederlo geniale potrei spiegare il tutto supponendo che il nostro protagonista abbia sintetizzato un irresistibile feromone… ma non ho motivo di credere che sia un genio, anzi.
Medaglia Fields alla birra
Perché la penso così? Perché D’Avenia fa dire al suo eroe una serie di assurdità scientifiche allucinanti, così tante e così terrificanti che al suo confronto Carofiglio è una medaglia Fields. Ecco alcuni esempi:
Amo il caos! Insieme alla relatività e ai quanti, è la terza scoperta più importante della fisica del Novecento. […] Il caos ci ha liberato dall’ossessione del controllo e ci ha aperto gli occhi […] sulla realtà: niente determinismo, niente catene di cause ed effetti […] Il caos ha salvato la libertà e la libertà è l’unica cosa che rinnova la vita.
La fisica ci ha fatto scoprire che non controlliamo nulla, proprio per questo ci ostiniamo a farlo con la forza. Dovremmo concentrarci su come rinnovare la vita piuttosto che su come frenarne l’entropia.
Ragazzi, voi siete la dimostrazione che l’evoluzione è un misterioso equilibrio di caos e razionalità. I salti evolutivi sono cambiamenti inspiegabili e non c’entrano nulla con l’ambiente: sono momenti creativi, novità impreviste.
Non posso neanche dire che queste affermazioni siano errate… sono del tutto prive di senso. È come se vi dicessi con tono autorevole che il martedì è una fetta di birra. Che pensereste di me?
Ora, non bisogna essere dei fisici teorici per scrivere un romanzo e neppure è obbligatorio esserlo se si intende fare di un chimico il protagonista della propria storia: però è un obbligo almeno informarsi su alcune nozioni fondamentali e, soprattutto, è un obbligo controllare che ciò che si dice non sia una palese scemenza. Del resto, basta consultare un’enciclopedia online per scoprire che il “caos” (cioè la teoria del caos, già in parte esplorata dai matematici nell’Ottocento) riguarda sistemi rigorosamente deterministici; ed è sufficiente aver fatto la scuola dell’obbligo per sapere che i salti evolutivi (qualsiasi cosa intenda D’Avenia con questa espressione) be’… “c’entrano” parecchio con l’ambiente. Le conclusioni, su Omero e sul suo creatore, potete a questo punto trarle da soli…
Facciamo brutto, bro
Per ora torniamo alla trama, che prosegue con gli studenti entusiasti della didattica empatica e “innovativa” del professore: sono talmente entusiasti che si incapricciano di imporla a tutti gli insegnanti, di tutte le scuole, di tutto l’universo. Hanno anche un jingle irresistibile, la canzone rap dell’alunno Cesare:
Jo jo jo jo
facciamo brutto, bro
siamo una classe
siamo una famiglia
navighiamo in acque basse
rischiando ogni giorno la chiglia.
Jo jo jo jo
facciamo il nostro meglio, bro
abbiamo un capitano
che non vede con gli occhi
ma con le orecchie e con la mano
colpisce meglio di Rocky.
È una cosa talmente “cringe”, talmente ridicola, talmente inarrivabile, che il libro meriterebbe solo per questo di essere conservato come patrimonio immateriale dell’umanità.
E, lasciatili, Omero andò a Betania…
Ma è solo un assaggino del vero cringe. Sì, perché a un certo punto Omero cambia la formula di struttura del suo corpo e acquisisce delle caratteristiche letteralmente messianiche:
[…] persino Dio ha deciso di scendere nella notte degli uomini, perché non disperassero di avere un Padre che li ama. E ho come l’impressione che un po’ di quella paternità sia passata attraverso di me a questi ragazzi a cui persino il cielo è diventato un po’ più leggero.
Omero è investito da un carisma divino irresistibile, tanto che ci sono le prime conversioni miracolose. Ad esempio, Annamaria, l’acida e scontrosa docente di italiano, ostile al nostro protagonista, improvvisamente resta folgorata e vede la verità. Ecco la sua conversione in questo brano rubato al Vangelo:
«Mi sarebbe piaciuto essere ancora come te, Romeo… ma è troppo tardi, e sono stanca.»
«Ti devo confessare la verità. Sai chi c’è dietro di me?»
«Ecco, lo sapevo. Chi?»
«Proprio quel legame che consente di vedere tutto nella stessa luce, perché ne è la fonte.»
«E sarebbe?»
«L’amore in cui Dio fa tutte le cose.»
[…]
Sento le mie dita inumidirsi. Sono le lacrime di Anna, che comincia a singhiozzare come una bambina, anche se ormai è una donna con una vita alle spalle […].
«Cambiare il mondo è rendere casa qualche metro quadrato in più di deserto.»
«Lo diceva anche Leopardi… Vorrei farlo anche io.»
«Aiutami.»
Le carezzo il viso come fosse quello di mia madre.
Andiamo in Parlamento, bro
Come ricompensa per tutto il bene fatto, Omero viene ingiustamente licenziato dal preside.
Ma va bene, tanto la scalata di Romeo verso il successo è inarrestabile: se ne L’attimo fuggente il licenziamento del professor Keating e il suicidio del suo studente Neil servono a ricordare allo spettatore che la vita non è fatta solo di ideali, ne L’appello Omero è licenziato e subito dopo gli viene offerto di collaborare con il partito al governo. Naturalmente la nobiltà di Omero gli impedisce di accettare e contaminarsi, non prima però di aver proposto ai suoi studenti di portare avanti loro stessi il suo progetto politico.
E qui vi riporto un assaggio delle riforme che gli studenti del nostro eroe propongono al Parlamento, per avere finalmente una “buona scuola” degna di quest’espressione:
1. Non c’è più l’obbligo: va a scuola solo chi vuole impegnarsi a conoscere il mondo […].
3. […] I Maestri usano la medesima aula, che deve avere una finestra sull’esterno e va arredata con buon gusto e armonia. Ci deve essere almeno una pianta.
[…]
9. Sono aboliti i banchi. Ogni aula ha un tavolo ovale da 13 posti […] Al centro del tavolo, dotato di tecnologia olografica, possono apparire le immagini o i testi necessari alla lezione. Nel giorno del compleanno di uno studente il tavolo viene addobbato a festa e l’Appello è sostituito dal festeggiamento.
Le mettiamo in pratica queste direttive? Allora, siccome gli studenti di Omero sono degli smidollati senza interesse per le cose del mondo, nessuno di loro va a scuola e quindi possiamo ignorarli; la pianta… ehi, la pianta ce l’abbiamo, perché Omero è una pianta (se i salti evolutivi non c’entrano con l’ambiente, allora Omero è una pianta, ex falso sequitur quodlibet); la tecnologia olografica, vediamo… sì, è quasi pronta, bisogna soltanto risolvere gli ultimi bug che impediscono il rendering delle candeline sulle torte.
Cioè, ma voi lettori vi aspettate davvero che commenti seriamente i banchi da tredici posti come nell’Ultima cena?
Il prepotente punto di vista di Omero
È chiaro a questo punto che ne L’appello, come in Fuoco è tutto ciò che siamo di Saraceni, la trama è semplicemente una scusa per esaltare il protagonista; e il protagonista è a sua volta un mero veicolo per le opinioni dell’autore, queste sì il vero cuore del libro. Gli studenti poi sono la prefigurazione di un pubblico passivo che accetta i sermoni e li ricambia con infinita ammirazione.
Di prove ve ne ho già date molte, ma se non siete ancora convinti, lettori, considerate che ne L’appello esiste anche dal punto di vista stilistico un’unica voce: quella di Omero. Infatti, quando gli studenti prendono la parola, usano espressioni e un linguaggio che non si confanno per nulla a ragazzi delle superiori, bensì sono compatibili con la forma mentis di un certo insegnante quarantenne cieco. Questo, ad esempio, è il modo in cui l’alunna Elisa racconta le sue vacanze estive in Canada:
La notte è stata piena di rumori spaventosi, e la Via Lattea si moltiplicava nelle acque del lago vicino a cui mi ero accampata. La mia anima ha vagato leggera nella notte senza macchia. Ho bevuto caffè bollente all’alba e ho visto l’acqua cambiare colore minuto dopo minuto, mentre voli improvvisi di uccelli che non conosco mi ignoravano, eppure erano perfetti […]
Vedete meglio, adesso?
Morale immorale, bro
Abbiamo dopotutto il classico bestseller italiano contemporaneo: trama smorta, personaggi realistici quanto gli unicorni, un po’ di filosofia spicciola, innumerevoli sciocchezze sulla vita, l’amore, Dio, e via dicendo.
E la sua morale, be’, direi che in sé è alquanto discutibile.
È chiaro che D’Avenia desidera ardentemente una scuola diversa, in cui i docenti siano più empatici nei confronti degli alunni. Questo è di certo un obiettivo condivisibile, tuttavia è da notare che la scuola si muove già in quella direzione.
E non dobbiamo dimenticare che agli insegnanti, lavoratori come altri, compete in primo luogo il dovere di divulgare le conoscenze che essi stessi hanno appreso durante i loro studi: non devono soprattutto occuparsi in maniera approfondita della psiche degli alunni, così come un idraulico non deve occuparsi prima di ogni altra cosa della felicità emotiva della signora che l’ha chiamato.
Occuparsi della salute mentale degli adolescenti è d’altra parte un compito difficile, che richiede strumenti e studi adatti: per questo in molti istituti scolastici esiste la possibilità di rivolgersi a uno psicologo. L’anoressia, la perdita di un figlio, la dipendenza da droghe, sono temi che si incontrano nelle cartelle degli psicologi scolastici e che D’Avenia affronta nel suo romanzo: sì, ma il suo modo di discuterne è ridicolo, giacché offre come unica cura abbracci e parole affettuose. Nella vita reale, spesso la vicinanza affettiva non basta e l’impegno di un insegnante può essere del tutto ininfluente.
Le parole del nostro autore sono dunque ridicole, però sono anche squalificanti e in un certo senso pericolose. Sono squalificanti per i tanti professionisti che non si improvvisano salvatori, bensì passano tutta la vita a studiare e a impegnarsi per trovare il metodo giusto con cui affrontare problemi gravi e difficili; sono pericolose perché appunto invitano all’improvvisazione, danno il via libera a tutta la pletora di faciloni che con due banalità in tasca si sentono dei novelli Einstein e Freud. Con le prevedibili conseguenze…
Successone, bro!
In conclusione, questo libro è il male: mal concepito, male eseguito. Sento già odore di Strega!
E allora che state aspettando? Affrettatevi a procurarvene una copia… e dopo aver preso preventivamente appuntamento con uno psichiatra, fate buona lettura!
il tuo commento è pieno di pregiudizi e luoghi comuni
Se lo potesse permettere, almeno…
Grazie Sara! Ho comprato il libro su consiglio di un conoscente e dopo 10 pagine ero sconcertato, dopo 20 disgustato, ho cercato una recensione per mollarelo senza ombra di rimpianto, grazie per la conferma…Nel frattempo sto leggendo Harry Potter a mio figlio l’autore per prosopopea e cialtroneria mi è sembrato Gilderoy Lockhart (Allok nel film)!
Recensione memorabile, hai descritto alla perfezione questo scempio, e lo hai fatto anche in modo esilarante. Ho riso tanto.
Che dire, a pagina 100 ho mollato il libro, leggendo solo le ultime trenta pagine, per sapere almeno come finiva.
Soldi buttati. Linguaggio pesante, saccente, stiloso, ragazzi della classe ghetto che parlano come professori universitari.
Peccato, perché i primi libri di questo scrittore meritavano.
La recensione che avrei voluto scrivere e lo dico con rammarico … da insegnante e soprattutto da lettrice appassionata di D’Avenia…almeno fino a questo ultimo, discutibile, romanzo. Delusa, molto
Condivido, è un libro veramente brutto, scritto male e privo di senso della realtà, la scuola che descrive l’autore per fortuna non esiste!!
Totalmente d’accordo! Melenso, improbabile, zeppo di stereotipi. Banalizzazione dei problemi della scuola con soluzioni semplici a problemi complessi. In cerca del facile consenso che adesso va tanto di moda: tutti virologi, tutti scienziati, tutti che possono fare meglio degli altri, che sanno come fare per gestire l’economia, la crisi, il Covid e migliorare la scuola. E allora dico la mia: bocciato!
Ammazza se te la tiri!
Eh sì, se la tira e non si rende conto di quanto sia indice di inconsapevolezza.
Cara Sara, grazie della tua recensione! Questo libro è talmente brutto e scritto in malafede che mi sono rifiutata di finirlo. Sono settimane che cerco critiche intelligenti a questo obbrobrio letterario, e trovo solo commenti entusiastici. Da lettrice e da educatrice, stavo perdendo la speranza nel genere umano. Non so cosa sia successo a D’avenia e perché si sia spinto fino a questa insopportabile e smielosa autocelebrazione, ma non c’è veramente nulla da salvare in questo scempio, la scrittura è barocca e ridondante, la storia non esiste, i personaggi sono pretesti per far vomitare la nuova perla di saggezza al grande guru, i ragazzi, come lui li dipinge, non esistono nella vita reale, e soprattutto, grazie a Dio, non parlano come lui li fa parlare.
Non so come un editore possa permettere che esca un libro del genere, il fine non giustifica i mezzi. Ma soprattutto non capisco come i lettori, dopo aver speso pure i 19eurini peggio spesi della loro vita, abbiano accettato di ingurgitare una schifezza del genere e abbiano pure ringraziato