Diario dell’ultima notte – Mauro Mazza

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IL GIUDIZIO:

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Ma i grandi uomini quasi mai sono degli eroi integralmente positivi, tutti possiedono, talvolta nascondono, risvolti sinistri, pieghe e pagine scure, errori fatali che talvolta possono compromettere tutto il buono fatto nella vita. Nel bilancio e nell’immagine che la storia trasmette contano due cose, soprattutto: la prevalenza delle gesta positive sulle azioni poco edificanti; e la finale vittoria, perché nei libri agli sconfitti sono riservate poche righe grondanti disprezzo e condanna eterna.

Memorie di una pena fascista

Ci troviamo nel 2018, in un delizioso e pacifico paesino friulano. Un uomo, di cui non sapremo mai il nome, acquista dalla signora Erminia una casa immersa nel verde. Mentre procedono i lavori edili, questo personaggio, che sarà anche il nostro narratore, trova un diario nascosto in una cassetta: è il diario dell’ormai defunto padre della signora Erminia, tale Antonio Basso. Antonio, giovanissimo, si arruolò come volontario nella Repubblica di Salò e assistette alla fucilazione di Galeazzo Ciano, l’11 gennaio del ’44. Un ritrovamento notevole, dunque.
No lettori, vi fermo subito: non provate a cercare maggiori informazioni su Antonio Basso, non le troverete. Antonio è una pura invenzione, un buon espediente narrativo che introduce un interessante punto di vista. L’Antonio del diario, infatti, è un giovane fascista che scopre in sé strani moti dell’animo: invece di provare soddisfazione nel vedere abbattersi la giustizia (dei fascisti) sul traditore del duce, sperimenta una grande pena. E la pena per Ciano è così tanta, da trasformare appunto in scrittore il nostro Antonio. Dico scrittore, e non testimone o cronista, perché sulla carta non compaiono nudi fatti, bensì i sentimenti vissuti nel corso dell’ultima notte di Ciano, la notte fatale. Il diario, insomma, non è un registro, neppure “intimo”, non è soltanto una sequenza di trasformazioni psicologiche fissate a futura memoria: è una ricerca, o almeno un embrione di ricerca, un tentativo forse inconscio di rispondere alla domanda peggiore di tutte, “perché?”. Perché la pena per Ciano? Oppure: “perché a me?”.
Il narratore anonimo, com’è prevedibile, è profondamente colpito da questo diario e decide di pubblicarlo. Ma non è passivo, davanti al reperto: decide di pubblicarlo integrando l’opera di Antonio con altri scritti di suo pugno.

Bene, lettori, è già chiaro che Diario dell’ultima notte di Mauro Mazza è un romanzo complesso: al suo interno, i capitoli introspettivi ambientati nella notte dell’11 gennaio 1944, in cui a parlare è appunto Antonio, si alternano ai capitoli elaborati dal nostro narratore, il quale descrive con un puntuale stile saggistico le vicissitudini che hanno portato al patetico destino di Galeazzo Ciano, il delfino del duce. Queste vicissitudini, sappiamo, hanno un inizio documentato: tutto comincia il 25 luglio del 1943, quando Ciano aderisce all’Ordine del giorno Grandi, votando affinché Mussolini sia sollevato da ogni incarico. Un tradimento, non c’è dubbio. Ma Ciano apparentemente non può trarre un gran vantaggio dalla caduta di Mussolini: e allora, perché l’ha tradito? Di nuovo un perché: Diario dell’ultima notte sembra giocare con questo tema, presentandolo in due modi. Uno, come ho detto (e come dirò meglio in seguito), è il perché “esistenziale”,  l’altro è il perché impersonale, storico.

Il narratore, datosi il compito di rispondere a quest’ultimo cruccio, adotta il punto di vista di Galeazzo: se lo immagina dapprima diffidente verso la Germania, poi titubante nel firmare il Patto d’Acciaio e, infine, estremamente preoccupato, scioccato perfino, dopo aver appreso dell’occupazione nazista della Cecoslovacchia. Il narratore ha dunque una tesi: in Ciano sono spariti i calcoli da criminale interessato al proprio tornaconto, la paura ha preso in lui il sopravvento, convincendolo dell’urgenza di salvare l’Italia da un’alleanza masochista e distruttiva. E vedere il duce immobile nella sua posizione politica, inspiegabilmente ancorato a un delirio straniero, non fa altro che accentuare la paura. Il maestro, il suocero, l’amico: che cos’è, ormai? Un uomo paralizzato, che non vuole, o non può, reagire al predatore mortale che lui, Ciano, è riuscito a guardare negli occhi. Mussolini sta sprofondando in un futuro in cui gli italiani sono dei poveri “maggiordomi obbligati al signorsì”. E non c’è guadagno personale che possa valere una simile, terrificante, prospettiva.
Ciano, ci sembra di capire, agisce avendo trovato finalmente un nobile ideale, la libertà degli italiani. La fine di Mussolini deve essere un tragico danno collaterale. Tragico, ma inevitabile.

Tragedia? Sì, ma senza eroe

Ciano diviene un personaggio: sì, un personaggio positivo, in fondo nobile e idealista. Il parallelo è naturale: come il Marco Giunio Bruto di Shakespeare uccide in fondo non per odio, ma per amor di patria, così Ciano tradisce con il cuore gonfio e dolorante, per un supposto bene superiore. No, fermiamoci, stiamo lavorando troppo con la fantasia, anche più di quanto faccia il nostro anonimo narratore. In Diario dell’ultima notte, in fin dei conti, la realtà viene sì diluita, una volta da Antonio e una volta dal narratore, però non scompare del tutto. No, non abbiamo una storia di eroismo. Di eroi, anche tenuto conto del contesto, se ne trovano davvero pochi. E Ciano è escluso dal novero. Consideriamo questo brano, in cui il narratore descrive il comportamento di Ciano nel corso della riunione del 25 luglio:

Quando finisce di parlare, Ciano prova un senso di spossatezza […]. Sfinito ma anche soddisfatto, lucido come mai prima d’ora. […] gli occhi cercano e interrogano, vorrebbero cogliere un segno d’approvazione negli sguardi altrui […]. Bada bene, Ciano, a non voltarsi alla sua sinistra, verso Mussolini; ne vedrebbe le mascelle serrate, le palpebre taglienti come due lame, la fronte imperlata di sudore.

È un eloquente ritratto psicologico. Il motivo di fondo è la paura, che è del resto un sentimento primitivo, istintivo, e di rado associato a concetti positivi. Di certo, non è associata all’eroismo: un eroe, nelle sue azioni, è al più accompagnato dalla paura, ma non è spinto da essa. Al contrario, il brano ci rivela un Ciano dallo sguardo sfuggente, come fosse un bambino che sa di averla combinata grossa. Inoltre, vi è un altro particolare da non trascurare, e che il narratore rivela con uno show don’t tell davvero ben fatto: Ciano non riesce a smettere di cercare il consenso altrui, è ossessionato dall’approvazione. L’eroe, tragico o no, è l’homo faber. Può essere avido delle lusinghe altrui, se è moralmente abietto, tuttavia un simile eroe non ha bisogno dell’approvazione, semplicemente la gradisce, gode ad averla, e, per goderne, se la prende senza esitare. Dalle poche righe che ho riportato, invece, è facile capire che Ciano non soltanto gode del consenso, è da esso rassicurato. E non sa procurarselo con le sue forze. I suoi occhi “cercano e interrogano, vorrebbero cogliere un segno d’approvazione”, per mitigare la paura. Capiamo dunque che il nostro “eroe”, non è “della storia”, è “nella storia”, in balia di fortune e sfortune.

La fragilità di Ciano si rivela anche in un altro passo. Questa volta siamo in Germania: dopo il Gran consiglio del fascismo, Ciano è costretto a rifugiarsi in Baviera per sfuggire ai fascisti che lo vedono come un traditore, agli antifascisti che continuano a vederlo come il braccio destro del duce, e agli “scagnozzi del nuovo governo, a caccia di capri espiatori per lavare le loro coscienze”. Di nuovo, una preda braccata, un uomo che deve rispondere a chi agisce. E l’eroe è sempre chi agisce, non chi scappa, non chi subisce.
In Germania, oltretutto, ha trovato asilo anche Mussolini, fuggito grazie ai tedeschi da Campo Imperatore. In terra ostile, genero e suocero si incontrano di nuovo, entrambi ostaggi della storia che si illudevano di dirigere. Il loro incontro non è quello di due nomi che imporranno le proprie lettere alla storia, facendole violenza, come i nomi di Ottaviano, di Gengis Khan, di Tamerlano…

Teatro del faccia a faccia tra genero e suocero è la residenza del duce, nei pressi di Hirschberg. […] L’incontro è quasi affettuoso, ci scappa un mezzo abbraccio tra suocero e genero. Edda trattiene a stento le lacrime, quando li vede chiudersi in una stanza, per l’atteso chiarimento. […] Ciano si spiega, ce la mette tutta. Tiene un’accorata arringa difensiva, col tono sommesso di chi l’ha fatta grossa ma senza dolo, anzi con le migliori intenzioni.
L’altro ascolta, rivede nel genero il ragazzone intelligente ma poco astuto, il diplomatico brillante ma superficiale.

È tutto palese, vero lettori? Ciano è ancora una marionetta mossa, o meglio paralizzata, dalla paura. Privo di cognizione, di decisione, e anche di dignità, sembra ora un figliol prodigo, ancora in cerca di una rassicurazione, di una parola di conforto. Non è quest’uomo un traditore: il traditore è un homo faber, non ha difficoltà a dirigere le sue azioni. Ciano è in sostanza un monello che si diverte finché non scopre che il suo piccolo mondo di giochi non è inespugnabile. E non dimentichiamoci di Mussolini, il brano che ho riportato è illuminante sul suo conto. Abbiamo, più che un padre padrone, un padre irrisoluto e rammollito: gli occhi taglienti sono in realtà pronti a cambiarsi in biglie innocue e tondeggianti, che vedono un “ragazzone” in un uomo incapace e pericoloso. Nemmeno Mussolini è un eroe. Un eroe, di qualunque genere, avrebbe posto Ciano davanti alla giustizia: una giustizia mite, un Ciano imprigionato, o costretto a rimediare concretamente ai propri errori, nel caso di un eroe positivo. Un Ciano cadavere, nel caso di un eroe negativo.

Dietro l’immagine, la larva di Mussolini

Lettori, con la riconciliazione tra Mussolini e Ciano, siamo arrivati a un punto importante del romanzo. Mussolini sembra accordargli il suo perdono, ricostruendo la perduta unità famigliare. Sembra: sappiamo che alla fine Mussolini non farà nulla per salvare il genero dalla fucilazione. No, questo non rende Mussolini un eroe negativo, non travisate ciò che ho detto in precedenza. Non è il duce a decidersi: Mussolini non farà nulla, subirà il volere di Hitler. Se proprio vogliamo trovare un eroe, in Diario dell’ultima notte, dobbiamo sorprendentemente guardare a Hitler, che se ne sta un po’ defilato. È sgradevole accompagnare il nome di Hitler all’epiteto di eroe, ma è così. D’altronde, ve l’ho detto, gli eroi non sono tutti positivi: e Hitler in questo caso è decisamente un eroe negativo. E anche sui generis, perché appunto non si muove dallo sfondo in cui è relegato.
Ebbene, sapendo tutto ciò, dobbiamo sorprenderci ancora una volta e capire bene la logica non lineare di Diario dell’ultima notte. I personaggi di Ciano e di Mussolini vedono ribaltati i propri ruoli: a un certo punto chi si può ragionevolmente considerare traditore?

Forse è proprio Mussolini, il quale, se non è un eroe, almeno ci sembra il viscido cattivo di tutta quanta la vicenda. Di nuovo fuori strada, lettori. Il Mussolini di Diario dell’ultima notte non ci riesce odioso o nauseante, non vorremmo fargli assaggiare un’amara medicina per dargli una lezione: ci troviamo davanti una sorta di larva umana, un uomo patetico che muove in noi una sorta di sgradita, eppure irrefrenabile, commiserazione. Insomma, vi avevo detto che nel diario di Antonio leggiamo della sua pena per Ciano: bene, ma siamo poi noi stessi a provare la medesima sensazione, perché Mauro Mazza costruisce un romanzo le cui parole sono capaci di ricreare nella realtà ciò che esse significano sulla carta.
Per darvi un’idea più nitida, consideriamo il modo in cui il narratore anonimo ricorda l’imbarazzante incontro di Feltre, una riunione in cui Mussolini subisce, passivo e sconsolato, la sequela di insulti che Hitler da lungo tempo aveva tenuto in serbo per lui e per il popolo italiano:

Nella sontuosa villa Gaggia di Feltre […], Mussolini s’è sentito umiliato, annichilito, incapace di reagire al fuoco di fila d’accuse che quello [Hitler] gli ha sparato addosso con una violenza mai mostrata prima: una litania impietosa di «disastri militari provocati dai problemi congeniti che gli italiani hanno nel sangue». Hitler parlava e parlava, un delirio in crescendo. Nella delegazione italiana dominava lo sconcerto: Ambrosio, il capo di stato maggiore, sbuffava e guardava Mussolini come a implorarlo d’intervenire, d’interrompere quel flusso di male parole e di accuse […].

Un pover’uomo provato dalla guerra, schiacciato dal giogo di un folle di cui vorrebbe liberarsi: un uomo tremante, impaurito e disperato, che teme le rappresaglie dei tedeschi. Un uomo che lascia morire chi ama perché ha il terrore di opporsi, perché sa di che cosa sono capaci i tedeschi, cose di cui lui non è capace. Come non provare pietà? Proviamola, dunque. Senza però dimenticarci che Mussolini avrebbe voluto essere capace di ciò di cui non era capace. Avrebbe voluto essere un eroe. Un eroe negativo.

Il racconto della banalità del male

Mussolini non è un povero innocente, non ci piove. Nondimeno, il suo destino, come quello di Ciano, ci appare drammatico: ed è giusto che sia così. È una forma di “cosmic horror”: certo da intendersi in senso molto lato, però anche nel nostro caso il dramma è dato dalla comprensione dell’assoluta nullità dei protagonisti di fronte alle forze inarrestabili della storia e della natura. Del resto, tale “cosmic horror” è instillato in noi lettori anche perché dal romanzo di Mazza emerge in una nuova forma, forse più viva, quella banalità del male di cui ha magistralmente parlato Hannah Arendt. E capiamo, una volta di più, che dobbiamo essere attenti ad attribuire l’aggettivo “eccezionale”, riferito sia al bene sia al male: siamo fin troppo soggetti all’errore, e spesso creiamo figure di fantasia che si sovrappongono a uomini miseri, pateticamente comuni.
Infatti, come potremmo considerare straordinario un Mussolini che telefona di nascosto alla sua amante, per paura del rimbrotto della moglie e della figlia, come fosse un Fantozzi ante litteram?
E ancora, come possiamo attribuire un qualunque valore a Ciano, spinto dagli eventi sull’orlo del baratro, e tuttavia ancora interessato a fare il bellimbusto con Frau Beetz, l’affascinante spia tedesca incaricata di sorvegliarlo?

Le reazioni di Antonio e dei suoi compagni alla fucilazione di Ciano sono un’ulteriore prova di ciò che fin qui vi ho detto. Benché i compagni di Antonio avessero aspettato con ansia il grande momento della giustizia fascista, al termine dell’esecuzione non sentirono di aver eliminato un uomo pericoloso. Dubbi e ancora dubbi, causati dalla sensazione di avere davanti un “innocente”, nel senso etimologico della parole: un niente, un uomo insignificante, che non può far del male, che non merita attenzioni. Ecco le parole del libro, con il loro carico di implicazioni:

Più indietro, una voce stentorea e stonata, stridente con l’atmosfera di raccoglimento e di pena, gridò «giustizia è fatta!». Non mi voltai per vedere chi fosse. Poi fu di nuovo silenzio. […] Pensai ai ragazzi del plotone. La sera, in caserma, un paio di loro si sarebbero sfogati: «Ci hanno fatto diventare assassini», avrebbe detto uno. E l’altro, sottovoce avrebbe ammesso: «Mi erano venuti un sacco di dubbi. E al “fuoco!” ho sparato in alto».

Ha fatto un solo errore, a parte tutti gli altri

Siamo alle conclusioni, lettori. Mauro Mazza è certamente consapevole che a fatica si riesce a guardare alla storia contemporanea in maniera distaccata; i nomi (storici) di Diario dell’ultima notte sono a noi troppo vicini per essere considerati senza preconcetti. Il nostro autore, in ogni caso, tenta una revisione dell’idea che normalmente abbiamo del fascismo, una revisione senza alcun fine apologetico, tesa anzi a svuotare il fascismo delle false (e ovviamente esagerate) incrostazioni mitiche che da troppo tempo si stanno depositando sulla sua superficie. Diario dell’ultima notte, però, è notevole anche sotto l’aspetto puramente formale. I vari espedienti narrativi sono ben dosati ed eseguiti, non c’è da discutere su questo. Inoltre, Diario dell’ultima notte è composto secondo le buone norme del romanzo polifonico: troviamo infatti molti casi in cui una stessa situazione è descritta, o commentata, da punti di vista diversi, sovente in contrapposizione. Antonio, ad esempio, insiste sull’importanza della vittoria in battaglia per poter essere ricordati con benevolenza dalle generazioni future, ed è questa una posizione condivisa da Mussolini, il quale ribadisce di essere detestato dal popolo italiano non per altro, ma perché sta perdendo la guerra:

[…] «io sono certamente l’uomo più detestato, anzi più odiato d’Italia, il che è perfettamente logico. Nessuna guerra è popolare quando comincia, lo diventa se le cose si mettono bene, se invece vanno storte diventa impopolare e odiosa».

Ciò che ci mostra il narratore, invece, è ben diverso: uomini che si lasciano detestare per il solo fatto di essere delle nullità, dei deboli terrorizzati, annichiliti, sopraffatti dal corso degli eventi.
E con questo, direi, il narratore dà una risposta netta a chi guarda ancora con nostalgia al duce, offrendo a tutti una massima sui cui vale sempre la pena riflettere, una massima che ritengo sia, dopotutto, il cuore del libro: la vita non ha pietà né per i deboli né per i vili, e sognare grandi cose non fa di un debole un grande o di un vile un eroe. Questo era Diario dell’ultima notte, e se vorrete perdervi fra le sue pagine, accettando gli enigmi morali e le provocazioni storiche che propone, io vi auguro buona lettura!

Sara

Ciao! Sono la fondatrice del blog letterario "Il pesciolino d'argento", amo profondamente i libri, l'arte e la cultura in generale.

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Una risposta

  1. Mauro Mazza ha detto:

    Gentile Sara,
    ho letto con piacere l’attento e analitico scritto sul mio romanzo; uno scritto evidentemente preceduto dalla lettura minuziosa del libro. Ho notato le sue acute osservazioni, uno stile dialettico quasi di confronto a distanza con l’autore, a sua volta chiamato in causa e “costretto” a misurarsi con una così precisa e puntuale analisi.
    La ringrazio di questo e, dopo la mia casuale scoperta, il Pesciolino d’argento potrà annoverarmi tra i suoi assidui lettori. Un caro saluto e tanti auguri. Mauro Mazza